LA COPPIA

LA COPPIA

di

ANDREA PERNARCIC

CAPITOLO I – L’INIZIO

Drinnnn… drinnnn… l’eccitazione finì, nessuno dei due aspettava qualcuno, era un giorno lavorativo. Non era l’orario del postino. La prima Laura (sì, perché nella mia vita ce ne sono state diverse), scostando la chioma bionda di lato, allungo lo sguardo oltre le tende, poi si girò verso di me e io vidi il dramma nei suoi occhi.

C’eravamo conosciuti ad una festa, una di quelle goliardate che a Trieste si facevano negli anni 90, dove per cambiare prospettiva ogni tanto al posto di andare in discoteca si andava nella casetta di legno di uno degli amici, in mezzo al Carso, dove potevi sparare la musica a palla e nessuno si sarebbe lamentato. Avevo diciott’anni, ed ero appena tornato da una missione come vigile del fuoco privato, due mesi a Verbania, sul Lago Maggiore. Abbronzato, tirato, spensierato, e con il portafoglio gonfio.

Facevo allenamento in una piccola palestra a Opicina, un piccolo ma non troppo paesino vicino al confine di stato. Il gruppo di ragazzi che faceva arti marziali al posto di propormi la solita birra, mi invitò fuori. Sembrava che tutti ma proprio tutti a quell’epoca: la nonna, i miei cugini, gli amici, questi ragazzi; volevano accoppiarmi. Cioè per loro non dovevo stare solo. Quasi che essere single fosse un’offesa alla vita.

In queste feste succede di tutto, sai, bevi, poi la musica, poi magari qualcuno ti bagna la maglietta, si intravedono gli addominali, ed è un attimo. Mi ricordo che c’era una ragazza: Ilaria. Mora, molto formosa, truccatissima, vestita di nero, mi aveva puntato da subito ma non era il mio tipo. Insisteva, allungava le mani, si strusciava, era invadente. Cercò di baciarmi, e mi dava molto fastidio, perché ci guardavano tutti, anche la ragazza che era lontano, quasi isolata, che sorrideva ogni tanto, poi incrociava il mio sguardo, mi attraeva, e sembrava anche lei da sola. Si chiamava Laura. Alla fine della festa mentre tutti si salutavano, la trovai in mezzo agli alberi, mentre fumava attaccata alla sua migliore amica. Le salutai e le chiesi se potevamo vederci per bere un caffé nei giorni successivi. Fu molto schiva, distante e altezzosa. Non c’era storia pensai. Nelle quattro settimane continuai a contattarla, a cercare una scusa per vederci, ma non se ne parlava. Allora chiesi al mio migliore amico Stefano, che le conosceva tutte e due, di indagare. Venne fuori che aveva appena rotto con il suo fidanzato, che era un tipo violento e che voleva andare con calma. Pochi giorni dopo, e dopo due weekend in cui io mi dedicavo a fare altro e non mi presentavo alle loro uscite, Stefano le invitò a fare aerobica nella lezione serale, nella stessa palestra, nello stesso orario in cui io mi allenavo con il campione europeo di bodybuilding Max. Non so se fosse stata la mia assenza, l’odore del sudore e dei feromoni, i muscoli che si gonfiavano, fattostà che scattò l’appuntamento.

Uscimmo, prima andai a lavare la macchina, una Lancia Prisma argento metallizzato, la profumai, poi comprai un piccolo bouquet di roselline, infine passai a prenderla e andammo a mangiare qualcosa. 

Parlammo, parlammo per ore, era buio, erano le 4:00 del mattino, ma eravamo stati rapiti dalle nostre storie. La portai a vedere una torre in mezzo al bosco, che dava sul mare. In mezzo al buio, nel bosco, arrivammo alla base di questa struttura di pietra che all’interno aveva una scala a spirale che saliva fino in cima. Io la invitai a salire e la seguì a pochi passi di distanza. Accesi una torcia rossa di segnalazione, quelle scadute che si usano in barca. La luce invase tutta la torre, il fumo aggredì le nostre narici, arrivammo in cima presi da questa frenesia e alla fine con la luna a picco che disegnava strisce sul mare, la baciai. Eravamo uno nella testa dell’altro. C’era un’energia chimica e fisica che ci invadeva, quasi una scossa elettrica. Mi pregò di non dire a nessuno della nostra storia, soprattutto agli amici, ma senza spiegarmi il perché.

La riportai a casa, l’appartamento che divideva con sua madre e sua sorella. Pochi gradini, un portoncino, due stanze, un bagno e una cucina.

ENERGIA

Questa è la classica unione di due bisogni, a volte diversi che trovano un equilibrio che avvolge entrambi e che brucia velocemente come se non ci fosse un domani.

Di questa storia, durata poco, ho dei ricordi affettuosi, puliti, di complicità, di Amore. (Questo era il mio sentimento ovviamente), ma non saprai mai cosa gira nella testa di una donna.

Laura era una geometra, lavorava assieme alla sua migliore amica ed erano uno degli studi di architettura più ricercati. Erano due anime diverse, l’amica sempre con vestiti attillati, sempre tacco dodici, anelli, collane, due volte a settimana dal parrucchiere. Laura sempre in jeans strappati, stivali da paninaro, felpa o camicia sciolta, capelli biondi mossi al vento, un filo di trucco invisibile, due occhi color ghiaccio. Spesso con una birra in mano.

Era la mia tipa ideale. Poche storie, divertirsi, cercarsi, amarsi; ma c’era ancora qualcosa che non voleva dirmi. Dopo più di un mese che uscivamo insieme, e ci vedevamo quasi tutti i giorni, la volontà di costruire la nostra coppia arrivò al culmine. La portai in un posto meraviglioso, alla fine della Strada Napoleonica c’era un parcheggio che usciva a sbalzo, ci stava solo una macchina parcheggiata, ed eri sospeso a picco sul fronte della collina a guardare tutto il golfo di Trieste. Nessuno poteva vedere chi fosse in macchina perché c’erano dei cespugli che oscuravano la vista. Un perfetto nido d’amore. Ma per un motivo o per l’altro, io pensavo fosse per vergogna, non voleva farlo, e non voleva spogliarsi. Alla fine pensava a me, ma non voleva niente per lei.

Cominciai a farmi domande e a farle agli amici per capire, ma Laura era riservata, stavamo assieme anche con la Compagnia, ma in realtà lei era sola nel suo segreto.

Passarono i giorni e il mio dissenso iniziò a pesare, non ero più felice, ero preoccupato, pensavo di essere io, mi incolpavo.

Un Elisir che Plasma le Dinamiche Relazionali

L’inizio di una relazione è spesso accompagnato da un’esplosione di energia che può sembrare quasi magica. Questo periodo, definito da molti come la fase dell’innamoramento, è caratterizzato da sensazioni potenti e travolgenti che influenzano ogni aspetto della vita quotidiana. Ma cosa rappresenta realmente questa energia, e in che modo agisce come un elisir sulle dinamiche di coppia?

1. L’Innamoramento: Un Picco di Energia Emotiva

Quando una coppia si forma, si innesca un meccanismo biologico ed emotivo che coinvolge una serie di reazioni chimiche nel cervello. Dopamina, serotonina, ossitocina ed endorfine; creano una sorta di “cocktail emotivo” che amplifica il piacere e la sensazione di benessere. Questo stato di euforia, spesso paragonato a una vera e propria “droga naturale”, porta i partner a vivere un periodo di esaltazione e di gioia intensa.

L’energia che si sviluppa in questa fase influenza il modo in cui la coppia si relaziona al mondo esterno. Ogni gesto, ogni sguardo o parola viene caricato di significato, alimentando la complicità e il desiderio di condivisione. Questo picco di energia emotiva è ciò che permette alla coppia di superare ostacoli con facilità, alimentando una sorta di ottimismo innato.

2. L’Effetto Elisir sulle Dinamiche Interne

L’energia che nasce all’inizio di una relazione non solo agisce sui singoli individui, ma plasma anche le dinamiche interne della coppia. Durante questa fase, i partner tendono a mettere da parte le differenze e i conflitti, poiché prevale il desiderio di comprensione e armonia. La comunicazione diventa più fluida e aperta, e le incomprensioni vengono risolte rapidamente, poiché entrambi i partner cercano di soddisfare i bisogni reciproci.

Questa Energia funziona come un elisir, poiché genera una sorta di scudo protettivo che rende la relazione quasi invulnerabile alle difficoltà. L’attenzione si focalizza sui lati positivi dell’altro, e ogni piccola imperfezione sembra trascurabile o addirittura affascinante. In questo contesto, la connessione emotiva e fisica cresce rapidamente, alimentando un circolo virtuoso di affetto e desiderio reciproco.

3. L’Impatto sulla Vita Quotidiana

L’energia iniziale di una coppia non si limita alla relazione stessa, ma influisce anche su altri aspetti della vita. I partner si sentono più motivati, creativi e proattivi in ambito personale e professionale. La sensazione di avere una connessione forte con un’altra persona può alimentare un senso di sicurezza e fiducia che si riflette positivamente in ogni decisione quotidiana.

È comune, durante questo periodo, che la coppia sviluppi progetti insieme, che vanno dall’organizzazione di viaggi al sogno di una vita condivisa. Questa energia propulsiva alimenta la capacità di visione a lungo termine, generando entusiasmo per ciò che verrà.

4. Il Ruolo dell’Intimità Fisica

Anche l’intimità fisica gioca un ruolo cruciale nella costruzione di questa energia. I primi momenti di intimità sono solitamente carichi di tensione e attrazione, e ogni contatto fisico rafforza il legame emotivo. Le sensazioni fisiche vissute insieme contribuiscono a costruire una memoria condivisa di piacere e complicità, aumentando ulteriormente la coesione di coppia.

L’intimità, in questa fase, diventa un collante che rafforza il sentimento di esclusività e appartenenza reciproca. Le coppie che sperimentano questa energia sessuale positiva sviluppano spesso una maggiore sicurezza nella relazione e una più profonda connessione emotiva.

5. Il Ciclo dell’Energia: Dal Picco alla Stabilità

È importante notare che questa fase di energia intensa non dura per sempre. Dopo i primi mesi o anni, a seconda della coppia, l’intensità dell’energia emotiva e fisica tende a stabilizzarsi. Questo non significa che la relazione diventa meno significativa, ma piuttosto che l’elisir iniziale si trasforma in una nuova fase di maturità e consapevolezza.

Con il passare del tempo, l’energia della coppia evolve verso una connessione più profonda, meno euforica, ma più stabile. Le dinamiche cambiano e l’attenzione si sposta dalla pura emozione all’impegno reciproco, alla costruzione di una relazione basata su rispetto, fiducia e complicità duratura.

6. Riconoscere i Cambiamenti e Coltivare l’Energia

Una delle sfide principali per le coppie è riconoscere quando l’energia iniziale comincia a mutare. Invece di cercare disperatamente di mantenere l’euforia dei primi tempi, è utile abbracciare il cambiamento come parte naturale dell’evoluzione di una relazione. Coltivare nuovi modi di connettersi, comunicare apertamente e continuare a scoprire l’altro sono pratiche che aiutano a mantenere viva l’energia della coppia.

Inoltre, è importante capire che questa energia iniziale, anche se in calo, non scompare mai del tutto. Si evolve in qualcosa di più sostenibile e duraturo. Creare nuove esperienze condivise, sia a livello emotivo che fisico, permette alla coppia di rigenerare continuamente la propria energia, come un elisir che si rinnova ciclicamente.

7. Conclusione: L’Energia come Fondamento della Relazione

L’energia che si sviluppa all’inizio di una relazione rappresenta una fase cruciale, capace di influenzare non solo le dinamiche interne della coppia, ma anche l’intera vita dei partner. Come un elisir, questa energia agisce sulle emozioni, i comportamenti e le scelte, creando una base solida su cui la coppia può costruire il proprio futuro. Tuttavia, è essenziale riconoscere che l’energia evolve, e accettare questo cambiamento è il segreto per mantenere viva una relazione sana e duratura.

Le coppie che riescono a gestire questa transizione beneficeranno di un legame che, pur passando da fasi diverse, rimarrà profondamente connesso e arricchito dall’esperienza condivisa.

DOLORE

Pensate a quanto è bastarda la nostra mente, trova comunque delle scuse, o comunque le crea di sana pianta, pur di farti star male. Un po’ come la febbre che ti sta comunicando che qualcosa non funziona.

Le volevo veramente bene, volevo capire, volevo trovare una soluzione. Ad un certo punto la misi alle strette: o consumavamo o mi doveva spiegare cosa stava succedendo. Altrimenti l’avrei lasciata.

Pur di non raccontarmi cosa stava succedendo, cosa che non aveva mai detto a nessuno, si decise di uscire a cena e poi di fermarsi con la macchina alla Rotonda del Boschetto. Una zona di Trieste che sale la collina, e dove in tanti si fermano con la macchina per trovare l’intimità.

Fu un disastro, io volevo che diventassimo una coppia fino in fondo, e lei in ogni modo cercava di farmi arrivare prima di aver consumato. Sembrava una patologia psicologica, era una barriera al sesso, non funzionava.

Poi si accostò una vettura bianca, e lei impazzì, mi disse di nascondermi, di non farmi riconoscere, di andare via e scappare velocemente. Voi cosa avreste fatto? Cosa avreste pensato in quel momento?

Lei piangeva disperata e terrorizzata sul sedile posteriore, io alla guida mi rivestivo, ripetendo nella testa che quella era stata l’ultima volta, avrei chiuso con Laura e le sue fobie.

La riportai a casa, lei scappò piangendo, senza un bacio, senza un ciao.

Passarono tre lunghi giorni, una pausa dovuta, una situazione assolutamente assurda.

Mi chiamò, il mio teledrin (cercapersone) vibrava e suonava. La chiamai, fissammo una giornata da soli a casa sua, io avrei portato il cibo e avrei cucinato per noi.

Sembrava quasi che l’ambiente della casa forse le avrebbe tolto la paura. Io sapevo che non era vergine, aveva ventitré anni e aveva avuto diverse storie. Ok, mi dissi, che sia la volta buona o l’ultima.

I profumi della cucina, il vino, i baci interrotti dalla frutta o da un tozzo di pane intinto, avevano creato l’atmosfera giusta al punto che iniziò a spogliarmi e a trascinarmi nella camera matrimoniale. Poi iniziò a togliersi la camicia, i jeans, e nella penombra io vedevo le sue curve ma ancora non riuscivo a capire, perché una ragazza così bella avesse paura di mostrare il suo corpo.

Ad un certo punto nel massimo dell’eccitazione, la girai, e mentre lei abbracciava il cuscino accesi al volo l’abat-jour che illuminò la stanza e il suo corpo. Lei cercò di divincolarsi gridando, e poi si girò a guardarmi. Cercava di capire se la stavo giudicando. Pensate un attimo cosa potrebbe essere così sconvolgente: è un uomo? Ha l’affare li sotto? E’ piena di tatuaggi? No era piena di lividi e di tagli, tagli in posizioni che non poteva farsi da sola. Il papà non c’era più, la madre era vedova e non aveva un compagno. Chi l’aveva ridotta così?

Iniziò con le grida, poi con il pianto, poi con i singhiozzi e gli abbracci, infine si calmò ma non volle confidarmi nulla. Per lei dovevo accettare quella situazione senza pormi domande, senza indagare. Uscivamo da ormai sei mesi, ed era così brava da non far vedere nulla, neanche la sua migliore amica ne era a conoscenza. 

Quella ragazza dagli occhi azzurri che mi fissava stava attraversando un inferno e non se ne rendeva conto. Per lei ormai era diventata la normalità.

Continuavo a chiedermi quando? Mentre la stringevo forte  e le davo coraggio, ma lei nuotava nel suo pianto, non avrebbe mai affrontato con me quel momento.

Eravamo una coppia? No, direi che eravamo il suo sogno di riscatto o di fuga, e il mio di vita insieme, di progetti, di futuro.

Suonò il campanello, e lei impazzì. Guardò fuori e lo vide, cominciò a tremare e mi disse che dovevo scappare. Ero alto un metro e ottanta per centotré chili, non sarei scappato da nessuna parte.

Mi rivestì, mentre un tizio fuori gridava, e lei mi tirava, voleva che non lo incontrassi.

Girai la chiave nella serratura, aprì la porta e mi ritrovai due persone davanti, uno sul portone che guardava in giro per evitare che qualcuno potesse arrivare, e Paolo, l’ex fidanzato di Laura che armato di pistola e distintivo sulla cintura mi gridava contro e voleva spingermi.

Dopo qualche minuto di questa pantomima, in cui diceva a Laura di tornare in casa che appena finito sarebbe tornato da lei, e mentre mi informava che Laura sarebbe diventata sua moglie, che erano fidanzati da ormai tre anni, che le aveva comprato l’anello, che la loro storia era solida, che Laura era sua.

Io guardavo lui e la mano che teneva la pistola, era una Berretta di ordinanza, in teoria i primi tre proiettili erano in teflon blu, ma potevo essere sicuro? Questo era un folle, magari li aveva sostituiti. Arrivò prima il suono della bitonale e poi la frenata brusca dell’auto di servizio. Il compare di Paolo lo avvisava che era arrivata una Delta con lampeggianti e sirena.

Stefano aveva ricevuto il mio messaggio sul cercapersone e arrivò velocemente. Avevamo deciso di mandare un codice in caso di problemi urgenti 8.0.8. e ognuno di noi sarebbe arrivato in soccorso.

Né Paolo né Laura potevano immaginare che le loro vite stavano per cambiare.

Stefano fece vedere il distintivo e il collega di Paolo si fece da parte, poi entrò e vide la scena. Paolo tenendomi sottotiro si girò e vide Stefano, sembrava una scena di Miami Vice. Paolo capì che stava per vivere la sua peggiore giornata, abbassò la pistola e la rinfoderò, non serviva altro. Stefano indossava sopra alla camicia il jacket delle squadre speciali dei Carabinieri. Paolo mi guardò e fu un sibilo, quasi senza fiato: -tu, chi cazzo sei?- e Stefano con un po’ di spocchia concluse: – è il mio capo! -. 

Andammo in Questura, in una sezione riservata, dove nessuno può entrare senza una specifica autorizzazione. Laura era rientrata in casa e mi avrebbe aspettato.

Fu una lunga giornata, avevamo un pazzo che picchiava e violentava la sua ex a piacimento facendosi forza di essere un poliziotto. La sala che avevo scelto era quella in cui interrogavamo i presunti terroristi, gli spacciatori, i trafficanti di armi ed esseri umani, e sulla sedia adesso c’erano Paolo e il suo collega. Di solito per acciuffare personaggi del genere dovevamo fare appostamenti, foto, intercettazioni, insomma un casino; ma invece adesso avevamo due deficenti che per puro caso si erano rivelati.

Ci fu un’inchiesta degli affari interni, sei mesi di sospensione senza stipendio, provvedimenti penali, una restrizione ex art 282 c.p. che vietava a Paolo di frequentare o avvicinarsi ai luoghi abituali di Laura.

Volete sapere com’è finita? Laura dopo aver consumato con me, e dopo aver curato tutte le ferite, un giorno mi invita a fare la merenda in uno dei locali che ci piacevano particolarmente, un panificio che aveva anche la salumeria, a Trieste si sà, non può mancare il prosciutto cotto tagliato a mano con il Kren. Degustiamo, ci abbracciamo, ci baciamo, ed infine in macchina lei mi da un pacchetto con un fiocco e una lettera. Avevo già capito, era finita, ma come?

Nel cofanetto c’erano due orecchini fatti su misura in oro zecchino, che ho portato per diverso tempo e in diversi set fotografici, e adesso li usa mio figlio Cristian. La lettera era un addio, la conclusione di questa relazione tossica, in cui lei non voleva affrontare il problema, e io non potevo dirgli chi ero.

Era la tua prima relazione? Nooooooo, prima c’è stata Sandra Piepiorca tedesca di Monaco, Christine con 4 anni più di me, Elena la ragazza che a 14 anni mi ha tolto la verginità, Mascha il primo bacio, uno di tanti con la lingua, Cristina, Samantha, Valentina 1 e Valentina Miele, Laura 2, Jasna la ragazza modella che amo ancora oggi, e poi…

Come Uomini e Donne Lo Vivono Diversamente Quando le Cose Non Funzionano

Quando una relazione di coppia va in crisi, il dolore che ne deriva è inevitabile, ma il modo in cui uomini e donne affrontano questo dolore può essere profondamente diverso. Anche se ognuno reagisce in base alla propria personalità e alla situazione specifica, esistono differenze comuni nel modo in cui i generi gestiscono la sofferenza emotiva legata a una relazione che non funziona. Analizziamo come il dolore si manifesta in uomini e donne, e perché queste differenze sono così rilevanti.

1. Il Dolore Femminile: Un’Emozione Più Esteriorizzata

Le donne, in generale, tendono a esprimere più apertamente il proprio dolore quando una relazione inizia a deteriorarsi. Questa espressione emotiva può manifestarsi attraverso il pianto, le conversazioni con amici o familiari, o la ricerca di supporto emotivo. Il dolore femminile è spesso accompagnato da una forte necessità di capire cosa non ha funzionato, di analizzare i problemi relazionali e di elaborare la fine o la crisi della relazione.

a. Il Bisogno di Comprendere

Una delle caratteristiche più evidenti del dolore femminile è il bisogno di trovare una spiegazione. Le donne spesso si chiedono cosa avrebbero potuto fare diversamente, cercando di scomporre ogni dettaglio della relazione per trovare delle risposte. Questo processo di riflessione può essere doloroso, ma è anche un modo per elaborare la sofferenza e, alla fine, trovare una via di guarigione.

b. Ricerca di Condivisione e Supporto

Un’altra peculiarità del dolore femminile è la tendenza a cercare condivisione. Le donne spesso parlano del loro dolore con le amiche o le persone di fiducia, cercando conforto e consigli. Questo tipo di comunicazione è un meccanismo di elaborazione che permette loro di sentirsi meno sole nella sofferenza e di ricevere supporto emotivo, creando una rete che facilita la guarigione.

c. Ansia e Auto-Colpevolizzazione

In molte donne, il dolore può tradursi in ansia o in un eccesso di auto-colpevolizzazione. Si chiedono se siano state abbastanza affettuose, presenti o comprensive, spesso mettendo in dubbio le loro capacità relazionali. Questo auto-esame, sebbene sia un modo per cercare di trovare risposte, può anche diventare un fattore di stress e abbassare ulteriormente l’autostima.

2. Il Dolore Maschile: Una Sofferenza Più Interiorizzata

Gli uomini, al contrario, tendono a vivere il dolore della crisi relazionale in modo più interiorizzato. Spesso cercano di mascherare il proprio dolore, apparendo emotivamente distaccati o minimizzando la sofferenza. Questo approccio può far sembrare che il dolore maschile sia meno intenso, ma in realtà, può essere ugualmente devastante, anche se espresso in modi diversi.

a. Negazione e Senso di Fallimento

Uno dei modi più comuni in cui gli uomini affrontano il dolore relazionale è attraverso la negazione o l’evitamento. Molti uomini cercano di allontanarsi dal problema, focalizzandosi su altre attività, come il lavoro o lo sport, nel tentativo di distrarsi dalla sofferenza. Tuttavia, questa negazione del dolore non significa che non soffrano, ma piuttosto che hanno difficoltà a riconoscerlo o ad affrontarlo direttamente.

Per molti uomini, una relazione che fallisce rappresenta una minaccia al proprio senso di autostima. Il fallimento di una relazione può essere vissuto come un fallimento personale, che mina la loro identità di partner o di “protettore” nella coppia. Questo senso di fallimento può provocare una profonda crisi interiore.

b. Rabbia e Frustrazione

Spesso, il dolore maschile si manifesta sotto forma di rabbia o frustrazione. Incapaci di esprimere la tristezza o la vulnerabilità, gli uomini possono reagire diventando irritabili, chiusi o persino aggressivi. Questo tipo di risposta è spesso legato a una difficoltà culturale o personale nell’ammettere la sofferenza emotiva, considerata segno di debolezza.

c. Solitudine e Isolamento

Mentre le donne tendono a cercare supporto, gli uomini spesso si isolano. Il dolore maschile viene vissuto in silenzio, senza condivisione. Questo isolamento può essere dannoso, poiché impedisce di elaborare il dolore in modo sano e rischia di alimentare un ciclo di sofferenza nascosta. Senza un dialogo aperto, molti uomini si trovano a gestire il proprio dolore da soli, con il rischio di prolungare il processo di guarigione.

3. Le Dinamiche di Genere e la Sofferenza

Le differenze tra uomini e donne nell’affrontare il dolore non sono semplicemente una questione biologica, ma sono profondamente influenzate dalle norme culturali e sociali. Le donne sono generalmente incoraggiate a esprimere le proprie emozioni e a cercare sostegno, mentre gli uomini sono spesso cresciuti con l’idea che mostrare vulnerabilità sia segno di debolezza. Questa dicotomia rende il dolore maschile più nascosto e difficile da riconoscere.

4. Le Conseguenze del Dolore Inespresso

Il dolore, se non viene affrontato correttamente, può portare a problemi a lungo termine per entrambi i sessi. Le donne, se non riescono a liberarsi del senso di colpa o dell’ansia, possono finire per accumulare risentimento o sfiducia nelle relazioni future. Gli uomini, d’altro canto, se continuano a negare il proprio dolore, rischiano di sviluppare comportamenti autodistruttivi, come dipendenze o esplosioni di rabbia immotivata.

5. Come Superare il Dolore: Strategie per Uomini e Donne

Nonostante le differenze, ci sono modi efficaci per affrontare il dolore relazionale, sia per uomini che per donne.

a. Per le Donne: Coltivare la Compassione per Sé Stesse

Per le donne, è importante imparare a essere compassionevoli con sé stesse e a non cadere nella trappola dell’auto-colpevolizzazione. Parlarne con persone di fiducia è utile, ma è anche fondamentale trovare un equilibrio tra l’elaborazione e il lasciar andare. A volte, riconoscere che non si può controllare tutto è un passo cruciale verso la guarigione.

b. Per gli Uomini: Accettare la Vulnerabilità

Per gli uomini, il passo più importante è riconoscere il proprio dolore e permettersi di essere vulnerabili. È utile trovare una persona di fiducia con cui aprirsi, o persino cercare un supporto professionale, come un terapista. Accettare che il dolore non è un segno di debolezza ma una parte normale dell’esperienza umana è essenziale per evitare che la sofferenza diventi cronica.

6. Conclusione: Dolore Diverso, Guarigione Condivisa

Il dolore relazionale è una parte inevitabile della vita, e sebbene uomini e donne possano affrontarlo in modi diversi, entrambi devono imparare a gestirlo in modo sano. Capire queste differenze può aiutare a migliorare la comunicazione nella coppia e a sviluppare una maggiore comprensione reciproca. Solo accettando la vulnerabilità e cercando il giusto supporto, entrambi i partner possono guarire e crescere, sia come individui che come coppia.

COPPIA TOSSICA

Cosa vi devo dire? Era un periodo della mia vita in cui dovevo fare il sommozzatore dei vigili del fuoco e lavorare sotto copertura per il ministero dell’Interno e della Difesa, non potevo dire niente a nessuno, neanche a mio padre che mi vedeva uscire di casa con una valigetta blindata e qualche domanda se l’è fatta, o al mio amico del cuore Massimiliano Ugo, poliziotto di carriera al quale dovevo negare tutto.

Come facevo a raccontare alle mie storie che ero un agente sotto copertura che doveva far arrestare un amico o un loro familiare? Come facevo a mimetizzarmi con loro e poi vivere la mia vita di coppia serena? Cioè, come avrei mai potuto vivere una relazione non tossica? Senza segreti?

Beh sono passati 30 anni e voglio raccontarvi tutto! E’ pericoloso? Siiiiii, ma chi se ne frega?

Facevo nuoto, vincevo tutto, mi allenavo all’Acquaacetosa di Roma, un giorno un uomo in giacca e cravatta si avvicina, ha due baffoni da paura, mi dice: sò che vuoi diventare un “Lagunare” del Battaglione San Marco, io posso farti diventare chi vuoi! Questo tizio si chiamava: Nicola Callipari.

LA COPPIA TOSSICA

Segnali e Dinamiche da Riconoscere

Le relazioni affettive possono essere tra le esperienze più gratificanti della vita, ma non tutte si sviluppano in modo sano. Quando una relazione diventa “tossica”, significa che il legame tra le persone coinvolte si trasforma in una fonte di malessere anziché di benessere. Vediamo come e perché una relazione tra uomo e donna può degenerare in un rapporto tossico, analizzando i segnali principali e le dinamiche comuni.

1. L’Inizio: Idealizzazione e Dipendenza

Molte relazioni iniziano con l’idealizzazione reciproca. Una fase di innamoramento intenso in cui si tende a vedere l’altro come perfetto, ignorando difetti o comportamenti problematici. Tuttavia, quando uno dei partner (o entrambi) sviluppa una dipendenza emotiva dall’altro, il rapporto comincia a sbilanciarsi. Questo può portare alla perdita di identità personale, in cui uno dei partner si annulla per l’altro, rinunciando ai propri interessi, bisogni o amicizie.

2. Controllo e Manipolazione

Il controllo è uno dei primi segnali di una relazione tossica. Può manifestarsi in modi subdoli, come il bisogno di sapere sempre dove si trova l’altro, chi frequenta o cosa fa. Nel tempo, questo può evolversi in una forma di manipolazione emotiva. Un partner potrebbe usare sensi di colpa, minacce velate o ricatti emotivi per ottenere quello che vuole. Ad esempio, frasi come “Se mi amassi davvero, lo faresti” sono tipiche di questa dinamica manipolatoria.

3. Critiche e Umiliazioni

In una relazione sana, i partner si sostengono a vicenda e rispettano le reciproche differenze. In una relazione tossica, invece, uno dei partner (o entrambi) può iniziare a sminuire l’altro attraverso critiche costanti. Queste critiche spesso riguardano l’aspetto fisico, le capacità, o le scelte personali. Con il tempo, questo crea un’atmosfera di insicurezza e svalutazione, in cui la persona criticata perde autostima e fiducia in sé stessa.

4. Cicli di Abuso e Riconciliazione

Una caratteristica comune delle relazioni tossiche è il ciclo di conflitti intensi seguiti da fasi di riconciliazione. Dopo un litigio, il partner tossico può chiedere scusa, promettendo di cambiare, creando l’illusione che tutto tornerà a essere come all’inizio. Questo ciclo genera una spirale distruttiva, in cui la vittima viene tenuta emotivamente legata alla speranza di miglioramento, ma senza un reale cambiamento.

5. Gelosia e Isolamento

In una relazione tossica, la gelosia può diventare opprimente e ingiustificata. Il partner geloso inizia a vedere minacce ovunque, dai colleghi di lavoro agli amici di vecchia data. Questo porta a una progressiva richiesta di isolamento, dove la vittima viene allontanata dal suo ambiente sociale e dai suoi affetti, rendendola sempre più dipendente dal partner tossico. L’isolamento è una delle strategie più pericolose perché riduce le possibilità di ricevere supporto esterno.

6. Mancanza di Rispetto e Violenza Verbale

La mancanza di rispetto reciproco si manifesta in atteggiamenti offensivi, sarcasmo distruttivo e uso della violenza verbale. Espressioni denigratorie, insulti e discussioni esplosive sono segnali di un’escalation che può portare a forme di abuso più gravi, come la violenza psicologica o, in alcuni casi, fisica.

7. Responsabilità e Colpa

In una relazione tossica, la responsabilità dei problemi tende a essere sempre attribuita all’altro. Il partner tossico non riconosce i propri errori e proietta la colpa sul compagno, facendolo sentire responsabile di tutto ciò che non va nella relazione. Questo crea un forte senso di colpa nella vittima, che inizia a dubitare delle proprie percezioni e a giustificare i comportamenti del partner.

8. Difficoltà di Comunicazione

In una relazione tossica, la comunicazione è spesso inefficace o inesistente. Quando i partner non si ascoltano davvero, ma si limitano a discutere o a incolparsi a vicenda, i problemi non vengono mai risolti. Questa mancanza di dialogo costruttivo porta a una crescente frustrazione, che alimenta ulteriormente la tossicità del rapporto.

9. Ansia e Stress Costanti

Quando una relazione diventa tossica, uno o entrambi i partner possono sperimentare livelli costanti di ansia e stress. La relazione, che dovrebbe essere un luogo di sicurezza e amore, diventa invece una fonte di preoccupazione. Le emozioni positive sono sostituite dalla paura, dall’incertezza e dal timore del prossimo conflitto.

10. Come Uscire da una Relazione Tossica

Riconoscere di essere in una relazione tossica è il primo passo per uscirne. Il supporto di amici, familiari o di un professionista può essere fondamentale per trovare il coraggio di allontanarsi. Spesso, la persona coinvolta in una relazione tossica fatica a vedere con chiarezza la situazione e ha bisogno di un aiuto esterno per prendere consapevolezza e agire.

In conclusione, una relazione diventa tossica quando il rispetto, la fiducia e la reciprocità vengono meno, lasciando spazio a dinamiche di controllo, abuso e manipolazione. L’importante è non sottovalutare i segnali e cercare sempre di mantenere un equilibrio sano tra sé stessi e l’altro. Solo così è possibile costruire una relazione duratura e appagante.

Prima ancora di fare la visita medica di ammissione, a Udine, con la famosa iniezione sotto il capezzolo sinistro, (me l’ha dovuta fare due volte perché ha piegato l’ago), sapevo già dove sarei andato, ma non potevo dirlo a nessuno.

Durante la mia assenza da Trieste, il mio ruolo era stato sostituito da Davide, un energumeno tanti muscoli e poco cervello. Due attività ad alto rischio erano andate in fumo. Venni contattato al telefono, – trova una scusa ma rientra nei weekend di libera uscita-. Per loro era facile, io dovevo incastrare i voli di andata e ritorno per non farmi beccare. Non solo, i voli all’epoca costavano un casino. Mi venne l’idea di organizzare una riffa, si perché tutto doveva essere credibile, non potevo materializzare i soldi così, dal niente, dovevo creare l’espediente.

Avevo un coltello di ordinanza e una console Sega Master System con diversi giochi, il coltello fu venduto subito, era bellissimo, per la console ci volle un po’.

La caserma, in special modo, quella del car, non è così semplice da fregare. Sei osservato tutti i giorni, non puoi uscire, hai gli orari organizzati, diventa complicato poter creare la tua uscita. 

Allora decido di creare una raccolta fondi per acquistare il biglietto aereo dell’Alitalia, andata e ritorno, attraverso la messa in palio della mia console, al costo di mille lire a biglietto. Tutti i biglietti venduti sarebbero stati messi in un secchio e uno avrebbe vinto il premio.

Raccolsi più di quattrocento mila lire, così presi l’aereo e tornai a Trieste. 

Geniale dissero, nessuno avrebbe sospettato di niente. Muoversi con la divisa da Vigile del Fuoco era perfetto, eravamo paragonati all’aeronautica, tutti ci ammiravano, ci davano la precedenza, eravamo considerati degli eroi.

A Ronchi dei Legionari, fuori dall’aeroporto, nessuno fece caso a due berline blu del ministero che aspettavano vicino l’area taxi.

Come non destò sospetti che le stesse auto si fermasseo davanti l’hotel l’Elefante (la nostra SafeHouse), dove fare un cambio d’abito, preparare le armi e ripartire per la Slovenia.

Passare inosservati era impossibile, con una Ford Mondeo coupé bluette blindata, e un GMC Yucon nero. Arrivammo ai laghi di Fusine, vicino Tarvisio, meta obbligata per recuperare il Senatore che era il nostro lasciapassare, per poi dirigerci a Slovenj Gradec, valicando il confine di stato a Kranjska Gora. Adesso sembra semplice ma all’epoca significava essere segnalati alle mafie Jugoslave e a quelle russe presenti nel territorio.

Le prime due missioni erano di ricognizione ,con la scusa del senatore che stavamo scortando, entravamo nell’edificio dove venivano tenute recluse le ragazze, e dovevamo capire com’era allestita la sicurezza. Chi erano i guardiani, quante persone erano addette alla sicurezza, quanto tempo trascorreva prima che intervenissero, quanti enti esterni di polizia, di sicurezza, sarebbero intervenuti in caso di problemi. Quanto tempo sarebbe servito ad un furgone o un pullman per caricare le ragazze e portarle oltre confine senza essere intercettati.

Con due missioni, avevamo una mappa dettagliata del luogo, un’identificazione precisa dei carcerieri e delle guardie; ma soprattutto sapevamo chi della polizia locale e delle eventuali squadre speciali, pagati da questo boss, sarebbero intervenuti.

Non potevamo usare mezzi navali o aerei, quindi dovevamo basare tutto il nostro piano di fuga su ruote.

Dopo aver capito quali erano le frequenze di trasmissioi radio riservate, programmammo un intervento per la settimana successiva.

Quale miglior scusa organizzare una festa per un gruppo di venditori porta a porta che festeggiavano i risultati e i premi dell’Euroclub?

Passato il post di blocco del confine sapevamo di avere i tempi contati. Per arrivare in loco, sistemarci, non dare nell’occhio, e ripartire verso la libertà.

Uno dei principali problemi: le ragazze erano tante, serviva per forza un grosso furgone o un pullman per il loro trasporto in sicurezza. Decidemmo di agire quella sera stessa, con diversi obiettivi: il primo, recupero di tutti i documenti d’identità delle ragazze prigioniere, identificazione del luogo protetto in cui venivano tenuti nascosti i passaporti. Dal momento in cui il boss avrebbe premuto il pulsante che teneva al collo avremmo avuto dai 20 ai 45 secondi per evacuare.

Fu tutto consumato in pochissimi minuti, uscivamo per fumare e ci cambiavamo con l’attrezzatura tattica. Poi due granate stordenti esplosero in mezzo alla pista. Il resto è storia.

Oltre alle ragazze messe in salvo e resi inoffensivi i banditi,  nel piazzale retrostante il locale c’era parcheggiato un grosso tir anonimo. Era pieno di casse con armi e munizioni. Cat, (nome in codice: caterpillar – il demolitore), posizionò quattro panetti di esplosivo C-4, all’epoca da 570 grammi l’uno in punti strategici, come il serbatoio del carburante, le munizioni; così da essere sicuri che quelle armi sarebbero state inutilizzabili.

Purtroppo Cat aveva esagerato, e mentre eravamo in fuga sulla via del ritorno, l’esplosione che doveva coprire la nostra fuga fu così violenta che si portò dietro anche una parte dell’edificio. Sui giornali il giorno dopo uscì la notizia: crolla il nightclub per una fuga di gas.

Avevano trovato pezzi del tir a tre chilometri di distanza.

Una delle ragazze portate in salvo si chiamava Madina, un angelo, piccolina, bionda, proporzionata. Originaria dell’Uzbekistan, non parlava l’italiano, poco inglese, ma nei mesi che precedettero l’operazione eravamo diventati buoni amici, un po’ di più dai… Ma una volta libera non l’ho più incontrata, e forse è meglio così.

All’epoca avevamo un incarico di scorta armata. I “pacchi” così chiamavamo le persone da scortare, arrivavano in auto o in aereo, la prassi era sempre la stessa, la scorta parte dal punto di partenza e accompagna il pacco fino alla zona di pertinenza della squadra sul posto, consegna il pacco e se ne va. Tutto il percorso viene segnato, ogni quindici chilometri c’è un checkpoint radio, se i veicoli incontrano un problema e il checkpoint salta l’aggancio, scattano i piani di sicurezza.

Se il pacco è un politico, le misure sono più organizzate, si creano tre percorsi alternativi, in modo che nessuno sa esattamente quale percorso la scorta intraprenderà. Lungo il percorso ci sono delle isole di sicurezza, locali anche in autostrada dove per tutto il giorno e tutta la notte sono presenti sia auto della polizia ben visibili sia auto civetta mimetizzate da civili. All’interno della struttura alcuni dei dipendenti come: cassieri, camerieri, baristi, addetti alle pulizie; sono in realtà agenti in copertura. Vi state chiedendo perché? Per il semplice fatto che il “pacco” potrebbe aver bisogno di fare pipì, oppure deve prendere un farmaco, oppure è diabetico e deve fare un’iniezione di insulina. Qualsiasi operazione che esula dal trasporto può creare distrazioni alla scorta mettendo a rischio tutti, quindi si preferisce fermarsi. Quando entrerete in un autogrill, in special modo sulla A1, l’autostrada del sole, chiedetevi se chi vi serve è un inserviente o potrebbe essere un agente sotto copertura.

Il mio teledrin vibrava, sapevo che in pochi minuti il capoturno della caserma dei vigili del fuoco del Porto Vecchio avrebbe ricevuto un ordine di servizio per modificare i miei turni. Dovevo vestirmi: vestito, scarpe lucide, cravatta, e la mia valigetta di alluminio.

Salutavo e salivo su una Ford Mondeo che sostava fuori dalla caserma, poi passavamo il valico della Guardia di Finanza e dei Carabinieri per ritornare sul suolo pubblico fuori dal Porto Vecchio, nessuno si sarebbe azzardato a fermare quella macchina perché aveva i simboli di auto diplomatica.

Non so ancora preché, ma nessuno mi ha mai chiesto chi venisse a prendermi e perché.

Per adesso mi fermo qui, ci sono trent’anni da raccontare ma voglio farlo passo passo, così da darvi il tempo di digerire le informazioni, e capire che oltre al mondo che conoscete, ce n’è un altro parallelo che vuole rimanere invisibile.

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